Dal Fronte Moscovita

domenica, luglio 30, 2006

Abito al quinto piano senza ascensore


Così si presenta la rampa di scale che conduce a casa mia. Secondo F è anche dignitoso rispetto ad altri.

Primo autostop

Ieri sera Alberto ed io siamo usciti per trovare un locale. La guida turistica ed i consigli dei nuovi amici russi ci indirizzano verso il centro città. Il locale si chiama B52. Siamo sufficientemente storditi dalla vodka per tentare ciò che non ci è stato consigliato: l’autostop. Casa nostra è a 15 minuti a piedi dalla metropolitana, così allungo la mano per attirare l’attenzione delle rare macchine che passano per la nostra cupa Vučetiča ulitsa. La Volga non si ferma, la Lada si. Il preservata a casa mi dona la sicurezza necessaria per fingere di parlare russo, così mi inchino per contrattare col conducente, un musone grigio.
“Lubyanka?”, chiedo. È la sede dell’ex-KGB, in pieno centro. Il musone emette un insieme di vocali e suoni gutturali lievemente biascicati, ma intendo che mi sta chiedendo quanto sono disposto a pagare, gli dico 200 rubli, “dvièsti”. Musone scuote il capo, rilancio di 100, “trisiat’”, così Musone lo scuote un po’ meno, facendo cenno di saltare su. Arriviamo sani e salvi, con un tentativo di fare due chiacchiere che non ha la meglio sul silenzio.
Davanti al terrificante palazzo nostra meta chiediamo a due ragazze se sanno dove sia una discoteca. Ci rispondono per fortuna in inglese di seguirle e finiamo al Fabrique, un bel locale metà all’aperto pieno di ragazze uscite dalle copertine delle riviste di moda. Ci divertiamo da Dio.
Chiedo a una delle due ragazze come si pronunci una certa parola che finisce per i. Ha sufficienti vocali per me, per fortuna, così ripeto alla perfezione secondo le indicazioni, tranne per quella i finale.
Io: “i”.
Lei: “No, si pronuncia iyjjì!” e ride.
Io: “ijh”
Lei: “ahaha!”
Io: “yììj”
Lei: “Dai non è difficile!”, risponde piuttosto divertita.
Fantascienza, Marty.

venerdì, luglio 28, 2006

Ti sei dimenticato di pensare quadridimensionalmente

Il viaggio è stato lungo e stancante, ma è trascorso senza intoppi. La valigia pesava 22 kg. Tutte t-shirt. Qui ci sono 17 gradi e oggi c’era pure una giannella da brividi di freddo. Domani dovrebbe migliorare.
F, quello che ci ha portato qui per il tirocinio ci ha accolto alla stazione del treno di Pavlevskaya, “siete nella zona del centro-sud di Mosca, per la cronaca, qui è dove è scoppiata l’ultima bomba”.
Con F e il suo autista ci siamo mossi per il traffico moscovita per le varie tappe organizzative necessarie, colloquio al luogo di lavoro e cena fuori da Maurizio, ristorante italiano.
La montagna di informazioni che abbiamo ricevuto solo nel primo giorno sono da soggiorno di diversi anni, con storie di mafia e servizi segreti da film di fantascienza. Ho come l’impressione che film di fantascienza sia, tutto quello che sta per cominciare qui.
Per tornare a casa F ci chiama un taxi, come ha fatto all’andata (l’autista non c’era più, storia lunga): andiamo in strada e fa un cenno. Si ferma una macchina qualunque. Lui si china, discute in russo col conducente, si gira verso di noi e dice: “Ok sono 200 rubli, buonanotte ragazzi”. I taxi autorizzati qui sono pochi, così i privati cittadini si fermano quando possono tirando su autostoppisti che contrattano sul prezzo della corsa. Una pratica comune e comodissima, ma che di certo ha i suoi rischi. Stavolta arriviamo a casa sani e salvi. 200 rubli sono circa 6 euro.
Casa mia si trova in un palazzo di epoca staliniana, sito fra la torre Ostankino (della TV) e il Triumph, uno dei nuovi palazzi simbolo del nuovo corso ultracapitalista russo. L’appartamento è un luogo comune di restauro kitsch-russo e sporcizia di vecchi tempi. Abbiamo passato il venerdì mattina a renderlo dignitoso e solo forse ce la faremo, non mi importa. E’ più vero così. Mi sento come tornato al mio erasmus, solo amplificato di un milione di volte, intensificato, stimolato…
Mi chiamano per mangiare un po’ di Druzhba, il formaggino sovietico per eccellenza che si è meritato un monumento in una cittadina di provincia, devo andare.


Tutto grande qui: Una partita a Jenga davanti a casa mia

martedì, luglio 25, 2006

E con ciò?

La partenza è stata spostata per diversi mesi. Si tratta del 27 luglio. Da un lato i problemi burocratico-disorganizzativi, dall’altro idealmente la partenza la sto spostando io immergendomi fra un aperitivo e l’altro, che mi anestetizza i sensi e dilata il tempo.
Mia madre mi ha piantato in mano una confezione di antibiotici, una di antidiarroici e diverse bustine di antidolorifici. Mi dispiace essere antitutto.
Non sono nervoso. La valigia per ora esiste sotto forma di apparecchiature non necessarie segnate su un foglietto che perderò tra poche ore. Di sera esco con vestiti di seconda scelta per tenere il guardaroba “buono” a cuccia nell’armadio, pronto per essere travasato.
Non è che non mi chieda cosa mi aspetti, perché mi sono affannato nei mesi scorsi per poter arrivare a chiedermelo, ma adesso ogni domanda su come sarà ha perso il suo fascino. Sarà quel che sarà e reprimo ogni tentativo organizzativo, dopo aver visto quanto poco serva.
Milano. Sono stufo di Milano da diversi anni. Sono tuttavia sempre incastrato fra accettarla e deriderla. Con le sue discoteche piene di sconosciuti che si annoiano in gruppo. E gli aperitivi a isole. Ponti nessuno.
Dopo tanti mesi di attesa eccomi qui a scrivere cosa voglia dire avere in mano visto e biglietto aereo, appartamento e tanta voglia di sparire di nuovo, con tutto ciò che implica.
In realtà adesso fa solo caldo.

mercoledì, luglio 12, 2006

Mi sto allenando per essere come loro


Voglio anche io un cappello da cavaliere mongolo now.
(E si dovrebbe partire il 20 luglio)