Dal Fronte Moscovita

domenica, settembre 10, 2006

Piccoli episodi, ovvero la vita come una sequenza di operazioni e spostamento di beni e persone

Venerdì sera sono stato a casa a leggere e dormire e mi sento come riattivato dopo aver superato la banalizzazione del divertimento. Basta snobbare una sera che-non-si-può-non-uscire e i liquidi si ridistribuiscono, come in un frigorifero che deve riposare prima del primo utilizzo.

Oggi diverse persone hanno imboccato il binario che conduce alle cannucce usate, alle cicche di sigaretta, ai bicchieri, alle bottiglie vuote. In pratica, al pavimento. Nel pomeriggio un uomo color panna armato di sacchetto della spesa cercava invano di sorreggere il suo compagno bestemmiatore nonché personaggio privato della benedizione dell’equilibrio. Ma non cadeva, seguiva una traiettoria parabolica e atterrava pesantemente e col rumore di uno schiaffo sulle lastre di cemento.

Un poliziotto gli passa vicino, gli lancia un’occhiata indifferente e se ne va, le mani protette nelle tasche dal vento gelido della giornata. Poco dopo si avvicinano due colleghi per sorreggere l’incerto bestemmiatore; l’uomo color panna si preoccupa di rimettergli a posto il riporto unticcio; all’ennesima bestemmia il matershinnik (bestemmiatore) sparisce nel furgone della milizia. Per così poco. E io ero in giro senza passaporto, ops.

Di sera, vediamo questo Chesterfield. Benvenuti nel luogo comune. L’entrata costa 150 rubli e il posto è uno spazioso disco-pub rustico in legno scuro e consumato sul pavimento. Alcuni loschi personaggi giocano a biliardo. Il bancone è lunghissimo e mi accorgo quasi subito della scelta funzionale: una schiera di ragazze appese ad una sigaretta infinita ed appuntate sullo sgabello cercano lo sguardo di ogni avventore, il mio compreso. Lavorano.

Quando si ferma una macchina col tipico autostop moscovita è regola che se ne fermino diverse che si mettono in coda aspettando di contrattare con te il prezzo; allo stesso modo dopo pochi minuti mi accorgo con la coda dell’occhio di una bionda che mi fissa senza troppa timidezza. Dietro di lei, altre due ragazze in coda. Al bancone, un’altra, poi un’altra, poi un’altra, poi un Sandro Pertini imbocca il binario per il pavimento mentre georgiani e signori di mezza età mi fluttuano davanti.

Prendiamo una macchina? Come Ulisse saluto la città caduta: “Addio Troia fumante”.

Tappa: Opera. Forse ho imparato a gabbare i buttafuori, mi lancio attraverso la transenna senza indugio e nessuno mi blocca, tranne l’uomo col metal detector che mi palpa il passaporto.

In pista durante una sigla sovietica in versione house un ragazzo ben vestito abbraccia il pavimento, lasciandomi dei dubbi sul suo stato di coesione psico-fisica, davanti alla sua divertita fidanzata.

Davanti al guardaroba scena comica con una nuova conoscenza, che ci dice: ”Mosca mi piace mi piace tantissimo! La gente è simpatica ed educata e poi non è vero che i russi pensano solo alla moda e alle marche! Quanto mi piace l’Italia; mia madre è andata a Roma e le avevo descritto esattamente dove fosse il negozio di Dolce & Gabbana ma poi lei ha sbagliato e mi ha portato una cosa di Prada che non mi piace.” Poi parte in quarta in descrizioni dettagliate della sua vita familiare e sociale. “Avrò 2000-3000 amici, tutti di Mosca che sono così gentili; una volta siamo andati a trovare un amico che studia a –non ricordo il nome, ma è a 400km da Mosca- e la gente è così diversa. Eravamo con la mia macchina, la mia macchina, una BMW, una serie 5, 530” e aggiunge con nonchalance cercando di non interrompere il ritmo del monologo, “530 xi; ma non ci facevano superare perché siamo targati 97 (codice di Mosca) invece che 62.” Ha detto queste cose con un’ingenuità splendida. Era come se fosse ovvio informarmi dei dettagli dimenticabili della sua macchina.

Insomma, il frigo è acceso.