Dal Fronte Moscovita

giovedì, settembre 07, 2006

Una Rivoluzione estetica, prima di tutto

Sono due giorni di diserzione dal lavoro questi, volti al turismo intensivo.

Il periodo dell’Unione Sovietica mi ha sempre attratto da morire. Non per convinzioni politiche anacronistiche, sia chiaro, ma per quell’insieme di condizioni che hanno contribuito a costruire questo selvaggio mondo paraterrestre. Con le visite degli ultimi giorni, case-museo, pinacoteche, parchi e monumenti, comincio a vedere uno spiraglio al grande perché che mi perseguita.

Com’è iniziato l’esperimento bolscevico? Non sto parlando di fatti storici esterni, di odio per lo zar, di condizioni sociali valutabili. Ovvio che non sono prescindibili, ma cos’era la Russia dell’inizio del ventesimo secolo?

In tutti i posti che ho visitato non ho potuto non notare le fotografie esposte di personaggi dell’arte e della letteratura che si frequentavano. Prendiamo geni indiscussi come Chekhov, ritratto prima con Tolstoj, poi con Gogol’ e Gorkij, poi intento a collaborare con Stanislavskij (l’uomo che ha inventato il metodo usato per la recitazione da tutte le più grandi stelle del cinema). Quest’ultimo –nella sua casa sul Leonevtsky pereulok- fotografato circondato da allievi oggi indimenticabili e da artisti di cui non so trascrivere il nome. C’era una cooptazione di forze intellettuali e artistiche tutte nello stesso calderone; un entusiasmo creativo in costante esplosione ed espansione. Quando una valanga comincia a scendere, trasporta con sé anche tutta la neve che la circonda. L’energia che ho respirato nella casa di Stanislavskij, l’unica perfettamente lasciata nello stato originale, si può palpare. Sono salito sul piccolo palcoscenico privato da cui Stanislvaskij ha diretto le prove della prima di Evgenij Onegin e delle più importanti produzioni del Teatro d’Arte (e ci siamo concessi di testare l’acustica intonando un “O Sole Mio” davanti a un’estasiata custode). Si respira l’aria del primo Novecento, l’aria di questa grande concertazione (passatemi il termine prodiano) diventata valanga.

L’arte in Russia come elemento ubiquo della vita di tutti i giorni.

La situazione era come quella di una barca pronta a strambare. Mantieni la rotta della storia con la vela tutta aperta e il vento della società perfettamente in poppa; con una mano tiri verso di te il boma e basta la spinta di un dito perché la vela passi sull’altro lato dello scafo: rivoluzione!

Con una società composta da lavoratori incazzati, la vela gira in un momento. Si spiega così anche il fermento artistico e d’avanguardia della neonata Unione Sovietica (ma attenzione, prego: un’URSS già impegnata nello sterminio di massa dei dissidenti, già per ordine specifico di Lenin; impegnata a istruire quei contadini che non sapevano leggere né scrivere e quindi difficilmente furono impegnati con coscienza politica alla Rivoluzione; un’URSS che sterminava interi villaggi durante la Guerra civile ed affamava l’Ucraina resistente, ma anche) gestita praticamente da artisti agit-prop liberi di sperimentare e credere quindi, così, in nuovo corso dell’umanità da comunicare al prossimo in un circolo virtuoso senza fine.

Con l’inizio della censura e della visibilità della perversione di un potere autocratico (oh no, democratico!) molti artisti persero l’entusiasmo e un vero motivo di vita. Per citarne due, Gorki emigrò, Mayakovskij si sparò.

Ed ebbe inizio quello che secondo qualcuno fu il vero motivo del crollo dell’Unione Sovietica: il collasso estetico, l’assenza di bellezza, materiale per il nutrimento di un’anima che a rigor di logica non esiste. A rigor di logica, se è per questo, la Terra doveva essere immobile e piatta.