Dal Fronte Moscovita

martedì, agosto 22, 2006

Atmosfera: biocompatibile. Presenza di vita: affermativo. Inizio procedura scansione antropologica.

Prima di partire mi avevano avvertito del mistero russo.

Mosca. Ma cos’è Mosca? Cosa c’è sotto? Chi sono i moscoviti? Cosa succede? Cosa ci dicevano di Mosca? Cosa ci dicono adesso?

Non abbiamo capito nulla, tra preconcetti e ideologie. Io stesso fatico a dare un senso a molti episodi, capendo lentamente che dare un senso non si può, o ancor meglio, non serve. Amen.

Una cosa è certa: il 27 luglio la mia navicella spaziale è atterrata sul pianeta Mosca, un astro di un sistema solare identico al nostro, che si è evoluto parallelamente al pianeta Terra. Mosca è la versione alternativa del mondo che conosco. C’è tutto, ma c’è in un modo differente. Gli esseri che abitano Mosca si sono sviluppati con le stesse esigenze che hanno mosso l’umanità terrestre, portandoli a creare artefatti che li soddisfino ugualmente. Un’automobile funziona esattamente come sulla Terra, solo che non è una Fiat, è una Lada, una Zhiguli o una Volga. Funziona lo stesso, forse meglio per certi versi, perché con due martellate torna a muoversi. Niente centralina elettronica. Diversa, ma la funzione è la stessa. Idem l’alfabeto, le scale mobili, le transenne, i film, i vestiti, gli aerei, i palazzi. Una versione diversa dell’idea platonica di ideale.

È difficile da spiegare. Bisogna immaginare un mondo parallelo. Tutto uguale nell’essenza ma diverso nella sua espressione.

Spiegare Mosca a chi non c’è stato. Duro lavoro. La vita qui è pragmatica, senza mezzi termini. A volte la cosa ti scombussola un minimo. Ho chiesto un White Russian in un bar e la risposta è stata un No secco, con tanto di testa scossa in segno di indignazione e fastidio. Questa è la testa sovietica, piena di regole e di burocrazia: il no è un no che previene pure un’eventuale insistenza da parte del petulante avventore.

La pazienza è l’arma migliore in questi casi.

Più in generale, se vuoi una cosa la paghi. Si può fare di tutto, credo che con qualche milione di dollari sia pure possibile fare un viaggio nello spazio. L’autostop, per esempio, lo paghi. Ma da noi chi ti tira su per portarti dal Duomo a piazza Firenze?

Puoi (devi) pagare anche la milizia se ti trova coi documenti non in ordine; girano voci che si possa pagarli anche per altro genere di cose…

Da un lato la vita pragmatica, senza mezzi termini, come dicevo. Dall’altra convenzioni sociali e beneducazione. Sono colpito dalla cavalleria degli uomini russi. La donna diventa una specie di dea da tenere in palmo di mano, a cui portare fiori (esistono i fiorai aperti 24 ore!) e da mantenere con cene e galanterie che da noi vengono viste quasi con sospetto. Poi, magari, la moglie la picchiano anche. Questo può avere un senso? Ha senso darglielo, un senso?

La cosa che ho provato, una volta partito da Milano, si spiega con una frase detta lentamente, scandendo bene le lettere sussurrando ed espirando: Fuori dai coglioni.

Da un lato c’è il mio rapporto conflittuale con una città che ormai reputo routine e provincialismo. La reputo come quegli iperattivi troppo sicuri di sé: gente che non si sa fermare per osservarsi nella propria completezza, gente che corre per non doversi mettere in discussione. Questa è Milano. Milano ha paura della propria chiusura. Poi, però, alla fine ci vivo e ci coltivo le mie amicizie più grandi.

Mosca non ha paura. Mosca è umanità in ogni angolo, nel bene e nel male. Facce tumefatte, odore di vomito e sudore. Barboni e ubriaconi. Poi donne perfette dal corpo curato, teste pettinate e dignità del povero che cerca di non mostrare la sua miseria. Facce da Lenin con occhialoni modello televisore anni Sessanta: insegnanti di marxismo in malora, mi piace credere.

Montagne di persone diversissime si passando accanto nelle stazioni della metropolitana. Tanta umanità che calpesta, tocca, respira, osserva, vive.

E il cartello Remont (riparazione) ovunque. Squadre di operai che lavorano come formiche senza alcuna norma anti-infortunio, possono costruire tutto a mani nude, tutto. Smontano e rimontano il motore della loro Lada per farne la revisione da soli. Per terra tracce di piloni segati via, chissà perché.

La soluzione russa si esplica così: sulla navicella spaziale americana si scopre il problema dell’impossibilità di scrivere con la biro in assenza di gravità. Dopo 2 anni e diversi milioni di dollari di investimenti per la ricerca, la Nasa inventa la penna che scrive nello spazio. In Russia la soluzione è stata a costo zero. L’ordine è di usare la matita.

Il pilone non lo smonto, lo sego via. Così agisce la gente.

Milano è digitale, Mosca è analogica. Fortemente analogica. Penso che sia questa la versione due della nostra realtà. Noi siamo passati al digitale, all’intoccabile, all’etereo, al servizio. Qui siamo nel prodotto, nella materia, nel palpabile.

A Milano abbiamo troppe sicurezze, troppe libertà senza sapere perché e cosa significhino. Qui l’erogazione è più lenta ma palpabile.

Qual è il metro per definire il proprio livello di libertà felicità? La certezza che le cose resteranno come sono è una garanzia di felicità o un inno all’indolenza? Qual è quella soglia fra essere umano (il curioso pensatore alla ricerca dell’Amore e della fusione col Tutto) e ingranaggio passivo della macchina odiosa?

Non ho una risposta, ma ci sono frammenti di essa per queste vie, dentro ognuna di queste misteriose persone con le quali forse non passerò mai abbastanza tempo. Sono sbarcato su di un pianeta alieno e tuttavia mi sono convinto che l’unico alieno, qui, sono io.

1 Comments:

  • bello jan...allora non si può capire Mosca in poco tempo.Credo che i russi siano un popolo particolare, ricordo che all'ultimop anno di liceo ero affascinata dagli scrittori russi e pensavo di studiarne la lingua, ma allora la russia era ancora più lontana e misteriosa e ho lasciato perdere, tanto non sarei mai riuscita ad andarci. in realtà poi le cose cambiano e se va tutto bene il 20 o il 21 settembre arrivo a Mosca anch'io, ma senza alcuna pretesa di capirci qualcosa e neppure di lasciar cadere qualche pregiudizio, come succede in ogni viaggio...nel senso che cercherò di arrivarci con la mente vuota e occhi e orecchie bene aperte. Grazie e scrivi ancora e un piacere leggerti

    By Anonymous Anonimo, at 3:20 PM  

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